Questo e’ cio’ che accade

Scrivo raramente di politica italiana in modo diretto o post nei quali, comunque, critico in modo pesante l’Italia. So quanto sono orgogliosi gli italiani della loro nazione che considerano libera e democratica, a differenza di altre come la Russia, il Venezuela o addirittura l’Ungheria in cui, invece, a sentir loro, vigerebbe una dittatura piu’ o meno esplicita.

Oltretutto ce ne sono alcuni – i piu’ fanatici e permalosi – che non sopportano l’idea che chi e’ straniero esprima una minima critica nei confronti del loro paese o del loro amato leader, e quali siano le reazioni quando si verifica qualcosa del genere, lo possiamo osservare in questo eloquente video. Pertanto, sapendo bene in che genere di trappola andrei ad infilarmi scrivendo qualcosa che potrebbe essere interpretato come anti-italiano, da tempo ormai preferisco trattare argomenti diversi.

Tuttavia, oggi vorrei farvi partecipi di una storia che mi e’ stata raccontata. E’ una storia assolutamente vera ed ho avuto il permesso di diffonderla da chi l’ha vissuta in prima persona, della cui sincerita’ non ho motivo di dubitare. Spero cosi’ che chi ha deciso di perdere tempo a leggere questo blog, possa farsi un’idea di cio’ che e’ diventata Italia, un paese dove pare che “Democrazia” e “Stato di Diritto” siano sempre piu’ termini vuoti, privi di senso, agitati nel vento da una propaganda televisiva tesa a mistificare la realta’, ma che piu’ niente hanno a che fare con la patria di Cesare Beccaria.

“Seguo una causa per un gruppo di militari contro lo Stato. La questione riguarda il TFR. Abbiamo ragione da vendere e infatti vinciamo. Il TAR emette la sentenza in soli due mesi. Condanna l’Amministrazione a pagare il dovuto più le spese processuali.
Arriva anche una sentenza della Corte Costituzionale che conferma, quello che era stato già scritto dal TAR di Milano.
Il governo a questo punto non ha scampo: deve restituire un sacco di soldi a tutti i dipendenti pubblici, non solo militari, ingiustamente trattenuti dalle loro buste paga.
Cosa fanno? Pubblicano oggi un decreto legge. Nel decreto legge, in sostanza aggirano quello che è stato sancito dalle sentenze, sia del TAR che della Corte Costituzionale.
Ma la cosa secondo me peggiore, soprattutto sul piano etico, è che si stabilisce che i ricorsi pendenti sono automaticamente estinti e le sentenze (a meno che non siano già passate in giudicato) sono prive di effetti! Il che vuol dire tutte, perché nessuna ha avuto il tempo di passare in giudicato.
Quindi, in sintesi: lo Stato fa una cosa ingiusta. Il cittadino va dal giudice. Il giudice condanna lo Stato. Lo Stato, con un tratto di penna, cancella gli effetti della sentenza. Il cittadino si ritrova, in modo del tutto incolpevole, a pagare gli oneri legali della violazione commessa dallo Stato.
E vuoi saperne un’altra? La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha già condannato lo Stato Italiano per una cosa identica (cancellazione degli effetti di sentenze ope legis: caso Ambruosi, sent. 19.10.2000 ric. 31227/96).
Siamo alla totale negazione dello stato di diritto.
Praticamente siamo a livelli da dittatura sudamericana”.

Legge ad personam

Wikipedia ne da’ questa definizione: “Con la locuzione legge ad personam s’intende una legge (o atto avente forza di legge) che si ritiene sia stata realizzata mirando specificamente al raggiungimento di determinati effetti favorevoli (o sfavorevoli) per una singola e individuata persona o ristretto gruppo di soggetti, cio’ nonostante possa essere apparentemente formulata in modo generale”.
Fra tutte quelle cose nella lista delle priorita’ che ogni anno a Natale sfoderiamo con stucchevole buonismo per mostrare agli altri quanto riusciamo ad essere migliori, io certamente metterei al primo posto una bella legge ad personam finalizzata a qualcosa di positivo, qualcosa per cui un intero paese potesse andar fiero. Una legge che avesse lo scopo di mettere al sicuro una sola persona dall’ingiustizia ad personam che, suo malgrado, e’ costretta a subire.

No, non parlo di chi ha gia’ sufficienti privilegi, soldi ed avvocati per vivere un’intera vita nel lusso al riparo di ogni possibile ingiustizia che qualsiasi magistrato possa perpetrare ai suoi danni, oppure di chi, essendo l’uomo piu’ ricco e piu’ potente d’Italia, si lamenta di dover pagare risarcimenti a editori concorrenti o assegni di mantenimento milionari a ex mogli tradite, o ancora di chi si fa curare la bua al faccino dai migliori specialisti coccolato nelle cliniche piu’ esclusive. E non parlo neppure di chi, invece, deve arrivare alla fine del mese arrotondando la misera pensione con l’ancor piu’ misera social card, oppure viene mutilato da medici incompetenti o da macellai senza scrupoli in ospedali che assomigliano sempre piu’ a cliniche degli orrori. No, non parlo di queste persone perche’ per costoro, ricchi o poveri che siano, deve valere l’art. 3 della Costituzione italiana, quello che pone tutti i cittadini uguali di fronte alla Legge. Parlo invece di “G”, l’orfano di undici anni che fra quattro giorni dovrebbe essere strappato ad un uomo che vorrebbe fagli da padre e che in questo momento si sta prendendo cura di lui, per finire in una comunita’. Lo stabilisce la Legge e si sa: “La Legge e’ uguale per tutti”.

Ecco, se davvero fossi in grado di dettare l’agenda delle priorita’ in un parlamento sempre piu’ orientato a salvaguardare i propri privilegi, sempre piu’ proteso a separare la gente in caste, fra “chi puo’” e chi “non puo’”, sempre piu’ antidemocratico ed autoreferenziale, la prima cosa che metterei all’ordine del giorno sarebbe proprio una bella legge ad personam per “G”.

Legittimo impedimento

Circola la voce che, proprio in concomitanza dei giorni del summit Onu sul clima, nella capitale danese ci saranno anche i grandi saldi di stagione a prezzi imbattibili. La merce in vetrina, infatti, sara’ offerta gratuitamente. A scatenare questa simpatica iniziativa e’ stata una cartolina inviata dal sindaco della citta’ ai centosessanta alberghi che ospiteranno i delegati che parteciperanno al summit.
“Siate ecosostenibili, non cercate sesso a pagamento” dice appunto il testo del biglietto per dissuadere gli ospiti dal contattare le squillo. “Cari proprietari degli alberghi, vi invitiamo a non fornire contatti o organizzare incontri con le prostitute”. Ed e’ stato per far capire al governo danese di non intromettersi nei loro affari, che le operatrici del settore piu’ importante di Copenhagen, hanno ideato questa bizzarra promozione speciale: sesso gratis per chi presentera’ una delle cartoline e mostrera’ il tesserino della delegazione”. Tutti quelli che forniranno la documentazione richiesta avranno quindi diritto ad una prestazione totalmente gratuita.

Sono piu’ che convinta che un tizio di nostra conoscenza, qualora oltre alle cerimonie di inaugurazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria non bastassero neppure i Consigli dei Ministri straordinari, potrebbe benissimo recarsi al summit. Quale occasione migliore per scoprire le bellezze di una citta’ come Copenaghen e, allo stesso tempo, dare un contributo indispensabile per risolvere i problemi in cui sta versando questo povero pianeta?

La Regina e la Giustizia

La crisi politica, sociale ed economica in Italia non accenna a placarsi. I rapporti di civile convivenza si stanno frantumando in una crescente radicalizzazione delle posizioni. Lo scontro s’inasprisce e conduce ad un’inevitabile separazione sempre piu’ netta fra il bene ed il male. Ci si divide in fazioni, squadre, eserciti schierati su sponde opposte di un fiume e si tende sempre piu’ a separare il mondo in buoni e cattivi, tollerando chi ci appare inoffensivo e respingendo con tutte le nostre forze chi, invece, puo’ nuocerci. Questo clima lo si avverte, e ci rende inquieti. E’ qualcosa che, come una spina conficcata dentro, non riusciamo a toglierci. Ci coinvolge nel profondo e tutti pretendiamo di essere dalla parte del giusto. Anch’io lo vorrei, ma tante volte non sono poi cosi’ sicura di esserlo.
La parola “giusto” porta, e’ inevitabile, a pensare a Giustizia. Di questi tempi la si sente pronunciare sempre piu’ spesso. Volendo, con “Giustizia”, ci si potrebbe riempire la bocca tutto il giorno, sciorinando le opinioni piu’ diverse allo scopo di portare piu’ acqua possibile al nostro mulino ideologico oppure, semplicemente, per affermare teorie che mettono al riparo i nostri privilegi. Ma, in fondo, chi puo’ dire sinceramente cosa sia la Giustizia e, soprattutto, per me che significato ha?

Una bella poesia di Fabrizio Piazza recita:

le tue parole dolci sono come un parco giochi
e io sono un bambino che si e’ perduto
fra le tue parole incerte e le tue parole chiare
ma le tue parole adesso tagliano come coltelli

e io ascolto quello che dici anche se non sei sincera
e se la mia storia e’ un libro di pagine strappate
tu sei misteriosa piu’ delle mie mani
piu’ dell’altra faccia della luna

tu sei una zingara ma sei tu la mia regina
tu sei il mio uomo e la mia bambina

vorrei poterti dire che non m’importa niente
di vederti soltanto per vederti andare via
e ogni volta darti un bacio e poi vederti ripartire
ogni volta dirti … ciao …

o forse potrei dirti soltanto la verita’
quella verita’ che sai fa di me un sognatore
mi piace ricordarti con quell’aria da ragazzina
con la camicia di tuo padre che ti fa sembrare un uomo

tu sei una zingara ma sei tu la mia regina
tu sei il mio uomo e la mia bambina

le tue parole dolci sono come un parco giochi
e io sono un bambino che si e’ perduto
fra le tue parole incerte e le tue parole chiare
ma le tue parole adesso tagliano come coltelli

tu sei una zingara ma sei tu la mia regina
tu sei il mio uomo e la mia bambina

Questa poesia mi ha ricordato che alcuni anni fa c’era una donna a capo di una comunita’ tzigana che, per il suo ruolo, tutti consideravano la Regina. Di “regine tzigane” ce ne sono diverse; in ogni luogo ove siano presenti gli zingari se ne puo’ trovare una; ed anche piu’ di una. Sono donne speciali, intelligenti, animate da una grande forza d’animo, dotate di buon senso, di saggezza e di quel carisma che le rende ascoltate e rispettate da chi e’ parte della comunita’. Donne che spesso hanno un sogno quasi sempre impossibile da realizzare ma al quale dedicano tutta la loro vita, e che si distinguono per il loro carattere filantropico e per la particolare attenzione che pongono ai problemi del popolo dei Rom.

Ebbene, questa anziana donna era molto ricca. Possedeva un conto bancario milionario e moltissimi investimenti che pero’ non utilizzava per se stessa, per fare una bella vita, ma teneva a disposizione per aiutare chi aveva necessita’, chi era malato o non aveva modo di portare avanti una esistenza minimamente dignitosa. Poco prima che morisse, un giornalista, intervistandola, le chiese come aveva fatto ad accumulare una tale ricchezza, e lei rispose: “Essendo giusta!” Il giornalista, sbigottito, non capi’ subito il significato di quelle parole e cosi’ insistendo ottenne la risposta che piu’ di ogni trattato di Diritto esprime il senso di cio’ che gli tzigani intendono per Giustizia: “Io giudico chi e’ colpevole, e chi arreca dei danni deve pagare per me e per le vittime”.

Deve essere a questo punto detto che per gli tzigani il furto perpetrato verso chi non e’ zingaro non e’ considerato un fatto cosi’ grave da doverne rispondere di fronte alla propria comunita’, mentre e’ grave invece il furto commesso nei confronti di chi zingaro lo e’, e gravissimo e’ quello compiuto verso chi fa parte della stessa Kumpania. Il giudizio di cui si parla, dunque, si riferisce esclusivamente a situazioni che si verificano all’interno e fra i membri della stessa comunita’ o tuttalpiu’ fra Rom in generale. In ogni caso esiste nella frase dell’anziana Regina un concetto che sta alla base della Giustizia cosi’ come la intendono gli tzigani: chi commette un reato deve pagare non solo per i danni causati, ma anche per chi amministra la Giustizia.

Immaginiamo una Giustizia che non scarichi tutte le spese della sua amministrazione indifferentemente sui contribuenti, ma che le faccia pagare solo a coloro che vengono ritenuti colpevoli dei reati, ed immaginiamo cosa accadrebbe, ad esempio in Italia, con i mafiosi e i politici corrotti o corruttori che, quando ritenuti colpevoli, avessero anche l’obbligo di sostenere le spese dell’intero apparato giudiziario.

La fine della Democrazia

Altrove, parlando del processo breve, avevo paragonato la Giustizia italica ad una vecchia ambulanza un po’ scassata che, per legge, sarebbe dovuta arrivare in due ore a soccorrere un paziente posto a mille chilometri di distanza. In caso contrario, il paziente sarebbe stato ucciso e la sua morte attribuita all’autista incapace di guidare. Questa mia metafora e’ stata giudicata del tutto fuorviante poiche’, secondo la tesi del mio interlocutore, la giustizia italiana non e’ una vecchia auto malandata, bensi’ un cavallo, e per essere piu’ precisi il cavallo Soldatino del film Febbre da Cavallo, che fra l’altro non ho visto.
L’interlocutore, pero’, viene in mio soccorso e mi ricorda velocemente la trama: l’avvocato De Marchis e’ il proprietario in bolletta del cavallo Soldatino, un brocco che arriva sempre dopo i piazzati; dopo aver accumulato debiti su debiti (al punto di tentare il suicidio), subisce la ritorsione del suo stalliere che smette di dare biada al cavallo; all’improvviso pero’, Soldatino comincia a vincere, dando la polvere ai velocisti piu’ quotati d’Europa. Il cavallo insomma aveva capito che per mangiare bisogna lavorare. Quindi, secondo questa diversa opinione, la magistratura italiana, sarebbe composta da persone che non lavorerebbero abbastanza ma che, se sottoposte a stress, renderebbero di piu’. Nessuna carota, dunque. Solo il bastone in questi tempi in cui di carote ne sono rimaste assai poche.

Oltre a cio’, mi si fa notare, i magistrati che lavorano di piu’ lo fanno per dedizione e senso del dovere oppure (notare l’oppure) sono al servizio del partito, o dell’Idea, per eliminare l’attuale premier. Ovviamente, ciascun fuorvia a suo modo. Chi lo fa con ambulanze scassate e chi con cavalli e stallieri. Anzi, e’ un consiglio che do ai berluscones, visto cio’ che e’ accaduto, sarebbe meglio che in questo momento non si parlasse di cavalli e stallieri. Sul fatto, poi, che esistano solo due tipi di magistrati modello, quelli che agiscono per dedizione e senso del dovere, oppure quelli che invece agiscono per odio viscerale contro il nano, ritengo che siano affermazioni dettate da un indottrinamento papiminkiesco piu’ che da un’analisi approfondita della questione. Perche’, d’altro canto, se proprio si volesse dare un giudizio equilibrato, si dovrebbe considerare anche un’altra ipotesi ugualmente lecita e condivisibile, cioe’ che ai magistrati che si applicano con dedizione al loro lavoro, in un’Italia cosi’ corrotta da risultare addirittura peggiore della Turchia, capita si imbattano frequentemente in reati commessi da un certo homunculus e dai suoi lacche’.

In ogni caso, comunque vadano le cose, qualsiasi siano le opinioni contrastanti fra una Giustizia che fa il suo dovere garantendo l’intera comunita’ ed una Giustizia ad orologeria finalizzata solo alla distruzione di una singola persona, io credo sinceramente che lo scopo principale di questa ghedinata del processo breve, non sia altro che la tipica, mafiosa, richiesta del “pizzo”: si minaccia la distruzione dello Stato di Diritto solo per intimidire ed estorcere al Parlamento una riforma costituzionale che introduca un lodo Alfano due, oppure un ritorno all’immunita’ parlamentare cosi’ com’era quella esistente prima di Tangentopoli.

Solo che c’e’ un fatto che molti tendono a non considerare e cioe’ che non e’ cosi’ semplice reintrodurre un articolo della Costituzione una volta che e’ stato abrogato; neppure se tutto il Parlamento fosse d’accordo. Il problema e’ tecnico e pare che, almeno in questa fase dei proclami e dello scontro, esso non venga seriamente preso in considerazione. Qualsiasi siano gli accordi, gli inciuci bipartisan, le ghedinate, i ricatti e le richieste di “pizzo”, ci sara’ sempre e comunque quel maledetto Art. 3 della Costituzione a garantire lo Stato contro una pericolosa deriva antidemocratica atta ad introdurre (o reintrodurre) norme che non rispettino l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge.

In semplici parole, quando l’Art. 68 (quello relativo all’autorizzazione a procedere) fu introdotto in fase costituente non rappresento’ un problema, ma una volta abrogato, dato che le parti che compongono la Costituzione hanno una loro priorita’, e i primi 12 articoli che riguardano i principi fondamentali della Repubblica Italiana sono prioritari rispetto agli articoli che compongono le parti successive, pare non sia piu’ possibile reintrodurlo senza intaccare il principio d’eguaglianza inserito nell’Art. 3. Si dovrebbe quindi cambiare anche l’Art. 3, riscrivendolo magari enunciando a chiare lettere che “non tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge”; cosa che ritengo assai ardua da farsi per qualsiasi parte politica che non voglia apparire golpista, soprattutto per il fatto che i principi fondamentali costituzionali, secondo la dottrina, sono non revisionabili. Chi e’ avveduto, quindi, capisce bene che riscrivere la Costituzione in tali termini, in un momento di grave crisi politica ed economica come questo, potrebbe condurre ad uno scontro sociale insostenibile e, forse, persino alla fine della Democrazia. Spero non sia questo cio’ che auspicano coloro che, a tutti i costi, intendono assolvere il nano dalle sue acclarate illegalita’.

Affidereste vostro figlio a certa gente?

Ignazio La Russa: «Non ho strumenti per accertare, ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione»
Angelino Alfano: «Riribadisco fiducia nell’operato della Polizia Penitenziaria che, ogni giorno, svolge i suoi delicati compiti con abnegazione e in contesti difficili»

Carlo Giovanardi: «Era in carcere perche’ era uno spacciatore abituale. La verita’ verra’ fuori, e si capira’ che e’ morto soprattutto perche’ era di 42 chili»

Stefano Cucchi, Deceduto nell’ospedale Sandro Pertini, a Roma, sei giorni dopo l’arresto per possesso di droga.

Stuprare conviene

Ddl intercettazioni (articolo 1, comma 26) – Da 6 mesi fino a 3 anni di reclusione per chi pubblica intercettazioni vietate dalla legge. Rischia la galera anche chi, mediante modalita’ o attivita’ illecita, prende diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti da segreto e, pure, se rivela indebitamente notizie inerenti ad atti o a documentazione del procedimento penale coperti dal segreto, dei quali e’ venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio svolti in un procedimento penale, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza.
Solo 2 anni e 8 mesi di reclusione, invece, sono stati comminati, per lesioni gravissime e violenza sessuale, a Davide Franceschini, colui che la sera di Capodanno violento’ una ragazza incontrata al veglione che si svolgeva nella Nuova Fiera di Roma. Una pena irrisoria sia per quanto previsto dal codice penale, sia per il danno subito dalla vittima; un danno che non sara’ mai riparato.

Sicuramente, tenuto conto delle pene, piuttosto che mettersi a fare reale informazione, piuttosto che raccontare la verita’, piuttosto che palesare il malaffare e gli intrecci che esistono fra imprenditoria e politica, oggi in Italia conviene di piu’ stuprare.

La Confessione

Esistono due tipi d’ingiustizie. Ci sono quelle grandi che sono fuori del controllo di chiunque. E’ il considerarsi inermi di fronte alla loro vastita’, sapendo che nessuno possiede la soluzione per risolverle, che ci fa sentire, tutti quanti allo stesso modo, non colpevoli e ci permette di discutere dei fatti con il dovuto distacco, organizzare conferenze, raccolte di denaro e spettacoli di beneficenza con la rituale partecipazione dei vari clown, ballerine e nani da sempre alla ricerca di popolarita’ e consensi.
Mentre c’ingozziamo tranquillamente sbracati sul morbido divano di casa nostra, immagini di carestie, guerre e genocidi si avvicendano, come scene di un film, sul nuovissimo schermo al plasma da cinquanta pollici appena acquistato in ottantaquattro comode rate mensili a tasso zero, TAEG 8,56%, offerta valida fino al 31 marzo 2009.

Avvenimenti distanti che ci riguardano solo marginalmente e che non ci creano dubbi su quello che e’ il nostro comportamento, e neppure riusciamo a concepire l’idea che tutto possa dipendere da qualcosa di sbagliato in cio’ che facciamo, da come viviamo. Anzi, quelle scene in fondo ci rassicurano, ci tranquillizzano, ci convincono che siamo fortunati, liberi… buoni.

Ci sono poi le piccole ingiustizie che riguardano un numero ristretto di persone. Sono quelle che ormai non fanno piu’ notizia ed alle quali ci siamo tristemente abituati. Ne parliamo poco, anzi, per quanto ci e’ possibile cerchiamo di non vederle, di negarle, perche’ intimamente sappiamo che, in parte, ne siamo un po’ responsabili anche noi.

“La Confessione”, il film del regista Constantin Costa-Gavras, ambientato nella Cecoslovacchia dei primi anni ‘50, narra la storia di Anton Ludvik che, arrestato ed imprigionato per motivi che non conosce, per mesi viene sottoposto ad ogni tipo di tortura, fisica e psicologica, perche’ confessi un reato che non ha commesso.

Angherie, vessazioni, prevaricazioni, crudelta’ gratuite contro chi non poteva difendersi erano assai frequenti nei regimi totalitari comunisti, ma non solo in quelli. Persino le democrazie occidentali da esportazione modello “Bush” hanno creato capolavori di straordinaria aberrazione come, ad esempio, il lager di Guantanamo dove persone innocenti ed estranee ai fatti legati all’11 Settembre sono state sottoposte per anni a torture psicofisiche terribili affinche’ confessassero cio’ che non avevano commesso, mentre la comunita’ internazionale, tutta, dava encomiabile dimostrazione di totale menefreghismo.

Riuscire ad ottenere la confessione e’, infatti, l’unica ragione per la quale esistono, da sempre, le varie tecniche di tortura. Il waterboarding, la deprivazione del sonno, le droghe e le minacce psicologiche o anche semplicemente i pugni, sono i mezzi dei quali gli aguzzini si servono non tanto per arrivare alla verita’ quanto per ottenere una confessione che indichi un colpevole che possa poi essere giustiziato sulla pubblica piazza, oggigiorno sempre piu’ mediatica.

Come Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora, anche Nick e Bart furono arrestati ed imprigionati per qualcosa che non avevano commesso. La loro unica colpa, come sempre, fu quella di essere innocenti quando il mondo imponeva che non lo fossero. Vittime del cinismo, dell’odio, del razzismo e degli interessi di bottega di chi aveva bisogno di mostri da sbattere in prima pagina, perseguitati perche’ diversi, perche’ immigrati, perche’ italiani, dopo sette anni passati in prigione furono condannati e giustiziati a morte. Era il 1927 e solo cinquanta anni piu’ tardi, riconosciuti innocenti, furono ufficialmente riabilitati.

L’infame Colonna

Era una giornata di pioggia a Milano. Nelle vicinanze della contrada della Vetra, due comari chiacchieravano, affacciate alla finestra gia’ di primo mattino, quando notarono un uomo con un mantello nero e con il cappello calato sul volto che camminava rasente una casa strofinando la mano contro il muro. Appena l’uomo si fu allontanato, le due donne si precipitarono in strada per controllare i segni che, secondo loro, l’uomo aveva lasciato sul muro e si convinsero di vedere delle macchie di colore giallo. Immediatamente diedero l’allarme. La gente accorse numerosa e la parte che appariva macchiata venne prontamente bruciata. Il Capitano di giustizia, arrivato per esaminare il luogo, confermo’ i timori: sul muro si scorgevano chiaramente dei segni di unto, nonostante fosse stato bruciato e ricoperto di calce.
All’uomo col mantello vennero presto dati un volto ed un nome: Guglielmo Piazza, commissario della sanita’, che fu immediatamente arrestato ed accusato di aver cosparso dell’unguento ammorbante.

Interrogato, il Piazza sulle prime nego’ di essere coinvolto nell’accaduto ma, dopo essere stato rasato, denudato per il timore che potesse nascondere un amuleto in grado di proteggerlo dal dolore, purgato e sottoposto alla tortura della corda, cioe’ appeso con le mani legate dietro la schiena e poi lasciato cadere di colpo, non soltanto confesso’ ma, pressato dai torturatori e dietro la promessa d’impunita’, s’invento’ anche il nome di un complice, tal Giangiacomo Mora che altri non era che il suo barbiere al quale, proprio pochi giorni prima, aveva chiesto di procurargli un vasetto d’olio curativo contro la peste.

Un’attenta perquisizione nella bottega del cerusico rivelo’ la presenza di alambicchi e fornelli, e questo indusse gli inquirenti a considerare quel luogo una vera e propria fabbrica di veleni. Anche il Mora fu dunque arrestato ed interrogato e, siccome si dichiarava estraneo ai fatti, venne torturato: una mano gli fu attorcigliata in una matassa di canapa e poi girata fino a slogargli il polso, tanto da farglielo ripiegare sul braccio stesso. Il barbiere confesso’ ma poi, cessato il supplizio, ritratto’. Sottoposto nuovamente alla tortura, tra grida di dolore e spasimi, ammise infine quello che gli inquirenti sostenevano avesse fatto.

Le torture ai due imputati si susseguirono per giorni fin quando, ormai stremato dallo strazio, il Piazza fece il nome di una terza persona: Don Giovanni Gaetano Padilla, nobile spagnolo, accusandolo di essere l’ideatore del piano criminoso. Il Mora, a cui venne chiesto di confermare la responsabilita’ del Padilla, acconsenti’.

Il Piazza ed il Mora, nonostante le dubbie confessioni estorte con la tortura, le continue e ripetute smentite del barbiere e l’assenza di una benche’ minima prova, furono condannati a morte. Entrambi furono caricati su di un carro che li porto’, prima, nel luogo che il Piazza aveva infettato, poi, davanti alla bottega del Mora, dove fu tagliata loro la mano destra e rotta l’ossatura; in seguito furono messi sulla ruota e scannati. I loro cadaveri vennero quindi bruciati e le ceneri gettate nel fiume.

La casa del Mora fu abbattuta ed al suo posto eretta una colonna. Infine fu posta una lapide che recava la descrizione dei fatti accaduti, cosi’ da ricordare ai posteri la giustizia compiuta nei confronti dei due principali colpevoli dell’epidemia di peste che si diffuse a Milano nel 1630.

Don Giovanni Gaetano Padilla, il terzo accusato, invece, fu assolto in virtu’ del suo rango nobiliare.