Cio’ che accadde a Praga nel 1968 segno’ definitivamente un’epoca, non solo per i cecoslovacchi, ma anche per chi viveva nei paesi appartenenti allo stesso blocco, in Ungheria, in Polonia, nella DDR e in tutti i paesi dell’est europeo le cui popolazioni avevano dovuto subire, a seguito della spartizione del mondo decisa dalle superpotenze, una vita non loro alla quale sarebbero state incatenate per oltre quarant’anni, e dalla quale solo nel 1989 avrebbero potuto affrancarsi riconquistando cosi’ la propria identita’ nazionale.
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A questo punto le versioni divergono. C’e’ chi dice che la reazione del “Che” fu causata dal fatto che Ramos, nell’interrogatorio, volendo causargli dolore gli strappo’ parte della barba, ma c’e’ anche chi racconta che fu soprattutto per una frase di scherno che Ramos gli rivolse: “Che effetto ti fa essere qui a morire, mentre Fidel se la sta spassando all’Havana?”
Forse la versione piu’ vera e’ la prima, quella della barba strappata, ma per una strana ragione, legata soprattutto al mio ingenuo idealismo, preferisco credere piu’ alla seconda, e l’immagine di Fidel Castro che si fuma il suo bel sigaro comodamente stravaccato nella suite presidenziale dell’Hotel Nacional di Havana mentre a La Higuera il “Che” viene assassinato nel modo piu’ vile, mi e’ sempre rimasta impressa.
Questo episodio mi torna alla mente ogni volta che c’e’ qualcuno che, comodamente seduto sulla sua poltrona presidenziale, al riparo da ogni possibile disagio sia economico che di altro genere, si mette a fare la ramanzina ai poveracci perche’ affrontino di buon grado i sacrifici necessari per mantenere i privilegi a lui, ai suoi figli e a tutta la sua corte di boiardi.
D’altronde, cosi’ come altri personaggi di cui e’ coetaneo, anche Fidel Castro si e’ sempre definito un comunista. Ma quanta diversita’ fra lui e il “Che”…
La legge bavaglio in Ungheria
D’altronde, anche le recenti vicende italiche – a cui pare il centro destra ungherese si stia ispirando non solo per quanto riguarda la legge bavaglio sull’informazione – insegnano che le cose devono essere fatte subito, quando il governo in carica ha ancora la maggioranza, altrimenti rischia di vedere il consenso sfaldarsi, ed il premier ungherese Victor Orban, che sull’onda del successo elettorale puo’ in questo momento contare sul voto favorevole del 70% dei parlamentari, non si e’ fatto sfuggire l’occasione di un colpo di mano che lo metta al sicuro qualora la situazione, che vede sempre piu’ disoccupati ed un aumento esponenziale del numero dei poveri, dovesse peggiorare.
Se c’e’ una cosa che gli ungheresi non sopportano, pero’, e’ quando sentono l’odore del vecchio cinquantennio sovietico, e questa legge un po’ ricorda la censura con la quale il regime comunista contrastava chi gli si opponeva. Se pur condite con artifici legislativi di dissuasione invece coercitivi, le nuove norme sono state fatte volutamente vaghe e mal interpretabili, cosi’ da lasciar spazio all’arbitrio di chi e’ al governo di poterle gestire a proprio comodo, colpendo miratamene gli oppositori. In sostanza un vero schifo, fra l’altro approvato in fretta e furia con uno stile vagamente rassomigliante a quello che sembra essere il nuovo modo di far “parlamento” di una certa destra europea e poco importa se, in segno di protesta, i rappresentanti del partito verde LMP si sono tappati la bocca con del nastro adesivo durante la votazione. Ormai pare che le minoranze, anche se nell’insieme rappresentano una fetta consistente della popolazione, in questo nuovo clima sempre piu’ maggioritario, siano del tutto ignorate.
Dovevamo cosi’ attendere venti anni per ritrovarci di nuovo sottoposti ad una censura di stampo totalitario, ed in questo devo dire, ahime’, che tutto il mondo e’ paese: gli esseri umani, di qualsiasi cultura siano, tendono a dimenticare… o meglio, chi governa fa di tutto perche’ la gente, una volta dato il voto, dimentichi. E cosi’ viene usato sempre piu’ spesso il rimbambimento generale con cure a base di televisione idiota e grandi fratelli, oppure viene fomentato un clima di paura, di odio e d’insicurezza perche’ arriviamo ad affidare a degli azzeccagarbugli, il cui solo scopo e’ arricchirsi alle nostre spalle, delle vere e proprie deleghe in bianco che poi, immancabilmente, diventano quei capestri ai quali veniamo impiccati.
E’ un’idea anarchica la mia? Non lo so. Non mi sono mai posta il problema prima di adesso, almeno in Ungheria, ma ho sempre piu’ scarsa fiducia nelle istituzioni ed in chi dovrebbe avere il compito di garantire la nostra fragile democrazia. Persino Fidesz, nonostante facesse credere di essere una destra di tipo liberale, sta dimostrandosi l’opposto. D’altronde, il tutto e’ stato gia’ abbastanza chiaro quando Orban ha formato il suo governo: ben il 40% della compagine e’ costituito da ex burocrati ed informatori della polizia segreta durante il vecchio regime comunista. Tutta gente della quale avremmo preferito non sentir piu’ parlare e che invece, per uno strano gioco di alchimie politiche, ci ritroviamo un’altra volta fra i coglioni. Stavolta pero’ decisa a non mollare piu’ la sedia sulla quale si e’ potuta di nuovo sedere.
In realta’, ho sempre pensato che gli ungheresi sarebbero arrivati un giorno a rimpiangere l’ex primo ministro Gyurcsany, non esente da colpe per il modo in cui ha governato negli ultimi anni, ma mai mi sarei immaginata che sarebbe avvenuto cosi’ presto. Sono gia’ molti, infatti, gli elettori di destra che vengono oggi colti da nausea quando sentono lo slogan “forradalmi Nemzeti kormány együttműködés”, con il quale Fidesz ha bombardato l’elettorato per convincere chi era stanco dei socialisti e del loro sistema di corruttele, di essere gli unici in grado di mettere in campo una vera e propria rivoluzione liberale. Ma piu’ che di un rivoluzionario liberale, adesso Orban sta assumendo per molta gente i tratti di un moderno Béla Kun, e la sua popolarita’ sta precipitando ad un ritmo vertiginoso: ben cinque punti in meno in due giorni, mentre il suo antagonista, il socialista Ferenc Gyurcsany ne ha guadagnati tre.
Non mi sorprenderei – ed un po’ temo che accada – se, perdendo consensi fra i moderati, Orban cercasse un’unione piu’ stretta con i neonazisti di Jobbik, ansiosi di supportarlo qualora accettasse le loro richieste xenofobe ed anti tzigane. Se questo avvenisse, sarebbe davvero la fine per me, per il mio progetto ed anche per la mia gente, e mi ritroverei da un momento all’altro a non avere piu’ un posto dove poter vivere in pace.
Dopocena con Irina
Bene, i piani di battaglia per la notte sono stati preparati, entrambe le parti hanno schierato le loro armi sul tavolo: voi la vostra carta di credito, lei la sua bellezza. A questo punto del gioco non ci puo’ essere piu’ alcuna discussione per quel che riguarda il denaro, vale a dire il costo della cena. Quindi scordatevi di poter fare “alla romana” al momento del conto. Non siete a Roma e Irina non e’ abituata ad uscire a cena con dei pezzenti che non possono permetterselo. Pero’ se ve la sentite ed avete coraggio, potete provarci…
L’unico risultato che otterrete, statene certi, e’ che lei vi fara’ capire che non e’ quello il modo di trattare una signora ed e’ praticamente garantito che non la rivedrete mai piu’. Per questo motivo, questa indimenticabile esperienza di invitare una donna russa come Irina a cena, e’ consigliata solo a chi potra’ contare di avere con se’ l’intera collezione delle sue carte di credito – bronzo, argento, oro, platino, doppio platino. Si’, portatele tutte e non dimenticatevi del libretto degli assegni, che’ non si sa mai. Forse, per punirvi per tutto il lavoro, il tempo ed i soldi che ha speso per questo appuntamento, ordinera’ piatti cosi’ costosi da farvi venire dei dubbi sulla vostra reale capacita’ di riuscire a pagare il conto e, indipendentemente da quanto sia snella ed in forma, ordinera’ cosi’ tanto cibo da sostenere l’intero esercito russo per una settimana. Tanto che non riuscirete a spiegarvi come mai fra le donne russe ce ne siano pochissime che sono obese nonostante abbiano un tale appetito.
Bene, e questo vi porta inevitabilmente a porre la domanda se le donne russe siano o no materialiste. Si’, certamente lo sono. Come lo sono tutte donne. Non e’ infatti possibile pensare ad un solo posto al mondo dove la vista di un centro commerciale non causi palpitazioni cardiache nelle appartenenti al genere femminile. Tuttavia, considerato il fatto che alle donne russe sono stati negati sette lunghi decenni di shopping compulsivo, cio’ ha certamente avuto un piccolo effetto sul loro modo di apprezzare le cose terrene. E’ per questo che spendono la maggior parte del loro reddito in profumi e vestiti, e da cio’ si comprende anche il motivo della massiccia quantita’ di negozi a Mosca specializzati nella vendita di tali articoli.
Adesso immaginiamo che la cena sia stata un successo, che il tempo trascorso a parlare e a guardarvi negli occhi sia stato il piu’ bello che abbiate mai passato, sia voi che Irina, e che sia arrivata l’ora darvi la buonanotte… in un modo o in un altro. In primo luogo, anche se la metropolitana e’ un metodo di trasporto assai conveniente e sicuro nella capitale – cosi’ come lo e’ anche nelle altre citta’ della Russia -, e’ meglio che investiate gli ultimi spiccioli che vi sono rimasti in un taxi. Irina e soprattutto i suoi piedi doloranti dentro quelle scarpe dai tacchi altissimi, apprezzeranno il pensiero. Naturalmente, per tutta la durata della corsa vi domanderete: “Che cosa succede dopo?” Poi inizierete a pensare a tutte quelle storie di sesso selvaggio di cui sono capaci le donne russe. Storie che avete letto nei vari giornalacci, in internet oppure che avete sentito raccontare da qualcuno dei vostri amici. Ma e’ vero cio’ che si dice delle donne russe? E’ davvero piu’ facile per un uomo andare a letto con una donna in Russia che in altri luoghi? Dato che voi siete dei gentiluomini, non forzerete la mano per verificarlo e lascerete che la delicata questione venga risolta permettendo che sia proprio Irina a decidere…
Ma sarete in grado di assecondare la sua decisione, anche se questa sara’ contraria ai vostri desideri? Saprete controllarvi se, arrivati a casa sua, lei non vi offrira’ di entrare? Riuscirete a non cedere alla tentazione di saltarle addosso cercando di metterle le mani dappertutto? Questo non fa parte dell’oggetto di questo post e, come in ogni rappresentazione che si rispetti, a questo punto conviene andare in dissolvenza, pero’ qui torniamo alla domanda iniziale: cosa vi attendete da una donna russa? Cosa cercate in lei? Cosa pensate possa darvi? Sesso? Gratificazione? Felicita’? E’ possibile che possiate avere tutto cio’ al primo appuntamento senza che abbiate a che fare con una prostituta, ma con una donna che normalmente ha accettato un vostro invito a cena?
Come ho detto piu’ volte, esistono sempre le eccezioni, ma se vi fidate di me che conosco abbastanza bene questo argomento, posso dirvi sinceramente di “no”. O forse si’… ma dovreste essere molto fortunati, almeno quanto possiate esserlo in qualsiasi altra parte del mondo, perche’ una donna russa non puo’ assicurarvi tutto quello che desiderate piu’ di quanto possa farlo una donna italiana, ungherese, tedesca o spagnola.
Se parlaste con un mio amico che ha vissuto in Russia per molti anni, lui sosterrebbe che le donne russe sono estremamente belle ed intriganti, ma mai contente, mai del tutto disinteressate e sono molto calcolatrici. Per la loro mente un uomo dovrebbe essere una specie di frullato misto fra la creativita’ e l’impulsivita’ di Vladimir Vysotsky, la ricchezza di Bill Gates, e la prestanza fisica di Arnold Schwarzenegger. E’ in base a cio’ che il mio amico afferma che questo e’ semplicemente troppo da gestire per qualsiasi uomo. Nessuno puo’ vivere costantemente in questa contraddittoria e penalizzante aspettativa che lo fa sentire perennemente come un fallimento. Percio’ c’e’ chi inizia a bere, chi diventa un puttaniere incallito oppure trascorre il tempo a fissare piattamente le cose intorno a se’. In pratica pare che le donne russe siano estremamente esigenti e perfezioniste, non solo con se stesse, ma soprattutto con i loro uomini che alla fine diventano dei frustrati, e non e’ la prima volta che sento quest’argomentazione contro di loro.
Nel film “Batman, il cavaliere oscuro”, c’e’ una scena in cui Bruce Wayne si presenta a cena con la prima ballerina del Balletto di Mosca. Sebbene la donna parli per non piu’ di dieci secondi, quello che dice e’ sufficiente a provocare, oltre che una certa ilarita’, anche una piccola riflessione su cio’ che il mio amico afferma. Parlando della triste condizione in cui versa Gotham City, ad un certo punto la donna rimprovera bruscamente gli ospiti a tavola per il fatto di vivere in una citta’ simile: “Come si possono allevare dei figli in una citta’ come questa… sto parlando di una citta’ che idolatra un vigilante mascherato.” Ecco che in questa frase si riconosce immediatamente la donna russa descritta dal mio amico: l’impossibile perfezionista che gli uomini amano oppure lasciano. Ma se il perfezionismo e’ la cosa peggiore che puo’ essere detta a proposito delle donne russe, dato che nonostante cio’ sono assai ammirate e desiderate, posso solo supporre che questo non sia propriamente un difetto.
Ma adesso permettiamo che sia Irina a concludere, a dire come la pensa, magari mentre riflette se sia o no il caso di continuare la serata con voi…
– Con una falce in una mano e balalaika nell’altra? Mi viene un po’ da sorridere, anche se questa immagine e’ parzialmente vera in quanto la versatilita’ e’, infatti, la caratteristica principale di noi russe. Possiamo tenere la falce e il martello, ma al tempo stesso cio’ non c’impedisce di avere una perfetta manicure, essere delle accademiche e preparare la cena. In un primo momento, dunque, potreste sostenere che noi donne russe, ad esempio, non siamo altro che strumenti adeguati per sopravvivere in una carestia, ma poi subito dopo potreste anche dire che mai vi sareste aspettati di vederci cosi’ adatte al ruolo di modelle. Pero’ non e’ una contraddizione. Una donna con una falce puo’ in ogni caso essere femminile, e con questo non voglio confondere la bellezza con la femminilita’, perche’ non e’ cosi’. Una donna puo’ essere estremamente femminile anche senza essere attraente.
C’e’ anche una citazione di Nikolay Nekrasov, che in Russia e’ molto popolare, che ci descrive molto bene e dice che una donna russa “puo’ fermare un cavallo al galoppo e camminare in una casa in fiamme”. E per quanto riguarda le capre ed i lamponi, adesso posso confessare che, se proprio si vogliono usare degli stereotipi, si puo’ tranquillamente cambiare la capra con una mucca, perche’ ogni ragazza russa romantica, normalmente, mungerebbe le mucche alle quali di solito confida anche i suoi segreti, mentre la capra finirebbe per essere confusa con il fratellino che, nei racconti popolari russi, viene sempre trasformato in una capra da una strega, e dubito che una russa mungerebbe suo fratello. Ed infine, basta con questa storia del “malinka, malinka moja!” Invece di raccogliere lamponi, la vedrei meglio a raccogliere patate.
Quindi, si puo’ ipotizzare che le donne russe siano appena piu’ numerose delle falci e dei martelli, ed anche delle capre ed dei lamponi. Una donna che ho ammirato molto ne e’ stata un esempio perfetto. Era a capo del laboratorio che ispezionava le strutture di depurazione delle acque in gran parte della Russia europea. Si e’ avventurata per anni con gli stivaloni di gomma in mezzo a torbiere e paludi, ma allo stesso tempo era nota per avere i vestiti piu’ alla moda della citta’, che faceva con le proprie mani perche’, a quel tempo, solo poche persone potevano permettersi di comprare vestiti decenti nei negozi.
Le donne russe di oggi, se proprio devo generalizzare, sognano di diventare come le casalinghe americane degli anni ‘50 del film “Mona Lisa Smile”, ma contemporaneamente ne sono spaventate perche’ sopraffatte da questa malattia: l’amore ossessivo per tutto cio’ che e’ occidentale. Per cui vorrebbero comportarsi come le ragazze di “Sex and the City”, ma sostanzialmente non riescono a farlo. Si rendono conto che non possono essere indipendenti dagli uomini, non tanto perche’ non possono sopravvivere senza di loro, quanto per il fatto di essere cresciute con l’idea che una donna debba sempre avere un uomo e che quella sia l’unica relazione “naturale” davvero possibile. Quindi, non possono immaginarsi una vita senza un uomo forte al loro fianco.
Forse questo modo di pensare si rifa’ ad un antico libro russo del sedicesimo secolo intitolato “Domostroi”, che letteralmente vuol dire “costruzione della casa”, intesa come ambiente in cui vive la famiglia. In pratica si tratta un codice che insegna come far funzionare la casa e la famiglia, in cui e’ specificato come la moglie dovrebbe comportarsi: modesta, crescere i figli, e rispettare suo marito obbedendogli sempre. Alcune clausole stabiliscono anche che un uomo puo’ battere una donna. Naturalmente, oggi nessuno piu’ e’ d’accordo con quanto scritto in quel libro, anche se in Russia e’ ancora ampiamente sentito il detto: “Se un uomo colpisce una donna, vuol dire che la ama.”
Il quadro che viene dipinto e’ quindi solo di un tipo, ed e’ quello che definirei “della donna Rublёvka”, quella che non dice mai “spasibo” e va in giro con la sua borsetta di Chanel. Ma quando si parla della sua “femminilita’”, ci si dovrebbe concentrare di piu’ sulla sua grazia, sulla sua postura, sul modo in cui si muove e parla, sul suo portamento e non certo sui ristoranti alla moda che frequenta.
Oggi, le donne russe sono considerate fra le piu’ belle del mondo. Come ho detto, la falce e la balalaika sono immagini parzialmente vere, perche’ una donna russa puo’ salvare una vita in una trincea e costruire ferrovie, ma nello stesso tempo, nella sua anima e’ debole, fragile, persino ingenua, in ricerca perenne del suo principe. Ed anche se c’e’ un valido motivo per sostenere che sognano un mix di Vladimir Vysotsky, Bill Gates e Arnold Schwarzenegger, non vedo in cio’ alcunche’ di particolarmente tremendo. In Occidente gli uomini non sognano forse un ibrido fra Angelina Jolie, Charlize Theron e Megan Fox? Ma non e’ detto che certi sogni debbano per forza avverarsi…
Molti uomini occidentali, che hanno scelto di avere una storia con una donna russa, o comunque proveniente dall’est Europa ex sovietica, sono innanzi tutto colpiti dalla sua versatilita’ in combinazione con un’evidente avvenenza. Ed e’ innegabile, ed anche comprensibile, il loro entusiasmo. Abbiamo certamente anche noi i nostri difetti, ma siamo fondamentalmente donne meno complesse, senza tutte quelle paturnie con le quali i suddetti uomini devono fare i conti relazionando con le loro connazionali. Soprattutto ci vedono dolci, sincere, amorevoli e molto mature. Alcune delle mie amiche piu’ care hanno trovato i loro compagni fuori dalla Russia: in Italia, Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Svezia, Stati Uniti. Non siamo affatto esigenti come qualcuno ci descrive, anzi siamo definitivamente molto realistiche. Infatti, non credo che quegli uomini che hanno scelto di avere una di noi come compagna stiano nuotando nelle carte di credito doppio platino. Molte di queste mie amiche, fra l’altro, hanno studiato all’universita’ e se avessero continuato a vivere in Russia, potevano anche contare su una discreta carriera, ma ora sono felici di costruire una vita insieme alla persona che amano indipendentemente dal fatto di aver rinunciato ai frutti di quegli studi. Anche perche’ in Russia, oggi, le donne in carriera non sono realmente ben viste dalla gente, ed il vero motivo e’ che, se hanno bisogno di competere aspramente con gli uomini, come negli affari oppure nella politica, beh… questo significa che non hanno avuto successo nella loro vita privata, e non hanno trovato l’uomo giusto.
Penso che ci sia una personalita’ che veramente rispecchia l’ideale di donna russa, e la si puo’ trovare in Tatiana dal poema classico di Pushkin, “Eugenio Onegin”. Tatiana ha tutte quante le qualita’ tipiche ed il modo in cui dovrebbe essere la “pura” donna russa: e’ romantica, vulnerabile, sincera e disposta a sacrificare qualsiasi cosa per il suo vero amore.
Negli ultimi anni, pero’, tormentate da una serie di fattori esterni, cosi’ come da uomini disonesti, deboli ed indecenti, le donne russe sono generalmente diventate meno aperte, piu’ sospettose, meno felici e forse piu’ disperate. Oltre a cio’ ci sono moltissime riviste dedicate al mondo femminile che non fanno altro che suggerire comportamenti per come essere piu’ bastarde possibile, insegnando i metodi piu’ subdoli per catturare l’uomo giusto, e tutte le bugie che devono essere raccontate, trasformando in questo modo l’intelletto naturale femminile in qualcosa di sporco e di certo non apprezzabile. E quando gli uomini leggono questi suggerimenti, e lo fanno, restano inorriditi nello scoprire in quali grinfie potrebbero capitare. Ma la realta’ e’ diversa. Anche questa della “femmina bastarda” e’ un’immagine distorta e non veritiera. Come ho detto prima, il vero amore e’ molto importante per ogni donna russa e nonostante sia debole e vulnerabile, il suo istinto sara’ quello di seguire il suo uomo e condividere con lui tutto quanto. Anche cio’ che moralmente a molta gente potrebbe apparire non edificante.
Ecco, siete giunti al termine del tragitto in taxi. Onestamente non conosco le intenzioni di Irina per il dopo cena; se v’invitera’ a seguirla oppure se vi salutera’ castamente e si defilera’ lasciandovi li’ con tutto il vostro bagaglio di desiderio. In ogni caso, se volete davvero sapere com’e’ una donna russa non lo scoprirete mai semplicemente incontrandone una per una notte, neppure se si tratta di Irina, perche’ lei, in fondo, e’ solo un sogno.
La prima parte dell’incontro con Irina la trovate QUI
A cena con Irina
Benvenuti dunque, cari amici, nella patria di quelle che sono considerate le donne piu’ belle del mondo; la terra leggendaria del latte, del miele e del sesso in cui ogni uomo, prima o poi, vorrebbe farci una capatina sol anche per scoprire se cio’ che si dice e’ vero oppure se sia solo frutto di racconti millantati. Preparatevi percio’ a spalancare gli occhi e la mente. Lasciate fuori da qui il vostro bagaglio di luoghi comuni ed entrate pure attraverso la mia porta in un mondo che, tanto tempo fa, e’ stato anche mio e che ancor oggi continua in qualche modo a far parte della mia vita. Cosi’, forse, in questo nostro immaginario incontro riusciro’ a ripercorrere insieme a voi un breve tratto della mia giovane esperienza. Ma prima di tutto ditemi con sincerita’: cosa davvero vi attendete da una donna russa?
Nel 1968, quando la Guerra Fredda era nel momento di massima tensione, i Beatles uscirono con “Back in the U.S.S.R.”, un brano che puo’ considerarsi una specie di ode alla donna sovietica. “Non sai quanto sei fortunato, ragazzo”, recitava la canzone, e credo che molte persone in quegli anni abbiano preso davvero a cuore quelle parole. In fondo, dalla parte occidentale della cortina di ferro, in modo colorito ed ironico, la femmina sovietica era immaginata con una falce in una mano e la balalaika nell’altra. Una donna piu’ industriosa che bella, con un carattere piu’ deciso ed impetuoso che timido, piu’ pratica che sognatrice. Infatti, il valore della donna era classificato dallo stesso regime in modo estremamente materiale che la poneva a meta’ strada tra una macchina agricola ed un buon raccolto di grano. Tutto cio’ era certamente molto utile nella giusta situazione – guerre, calamita’, carestie, rivoluzioni -, ma di sicuro non era l’ideale per farle vincere il titolo di coniglietta dell’anno.
Era dunque questa l’immagine che a lungo e’ rimasta radicata nell’immaginario collettivo occidentale, almeno fino al momento della caduta del comunismo, ed anche per alcuni anni successivi. Poi, le giovani donne russe hanno iniziato ad uscire dal paese, a viaggiare, a lavorare all’estero e ad avere successo laddove c’era la necessita’ di soddisfare i bisogni di chi era in ricerca di una mera fisicita’, avulsa dall’interiorita, ma che fosse pero nuova, esotica, diversa. Qualcosa che queste ragazze con i volti dai tratti delicati, gli zigomi alti, gli occhi chiari ed i corpi flessuosi plasmati e tonificati da anni di attivita’ fisica imposta dal regime, riuscivano facilmente a donare. Modelle, indossatrici, ballerine, lap dancer, prostitute, dimostravano che quello stereotipo che le aveva mostrate fino a quel momento poco femminili, non dedite alla cura della propria persona e piu’ adatte a lavori di fatica che a ruoli d’immagine, era del tutto sballato.
Adesso, pero’, facciamo un gioco: immaginatevi per un attimo di essere seduti in un ristorante di Mosca… di quelli alla moda, raffinato, con le luci soffuse, le candele sui tavoli ed i violini tzigani. Cercate di dimenticarvi della stanchezza accumulata durante il viaggio, oppure della consueta perdita dei bagagli che quasi sempre avviene con Aeroflot, e datevi un pizzicotto cercando di svegliarvi da quello che credete sia un sogno…
No, non lo e’! E’ tutto reale, voi siete li’ e di fronte a voi, seduta dall’altra parte del tavolo, c’e’ colei che avete sempre sognato, una femmina fatale, sensuale, bellissima. Datele il nome che preferite, anzi no… se siete d’accordo chiamiamola Irina. Una donna russa. In questo caso l’aggettivo “russa” e’ assolutamente necessario, perche’ anche se non ci credete, una donna russa, anche se ha due occhi, due braccia, due mani, due gambe, due piedi e tutto il resto, e’ diversa da una donna italiana come lo e’, ad esempio, una donna francese da una donna ungherese oppure come una donna tedesca e’ diversa da una donna spagnola. Lo so, le generalizzazioni non si dovrebbero mai fare, pero’ a volte riescono a descrivere fatti e situazioni in un modo terribilmente accurato. “Aveva una bocca tedesca, orecchie francesi, culo russo”, scriveva Henry Miller ne “Il Tropico del Cancro”, nello sforzo di descrivere una particolare ragazza incontrata in un caffe’ parigino in una calda estate.
Comunque, il vostro incontro con Irina e’ iniziato gia’ fuori del ristorante. Prima ancora di entrare, Irina vi ha consentito di aprire la porta per lei. Infatti, se lo aspettava con freddezza e non ha dovuto neppure dirvi ‘”spasibo” poiche’ tale gesto ha per lei la stessa importanza che ha un soffio di vento che le scompiglia appena i capelli. In qualche modo pero’, stranamente, cio’ non vi ha infastiditi, anzi come in un ossimoro sentite dentro di voi come uno strano senso di liberazione, quasi di emancipazione, come se aveste superato con successo una prova. Ma non e’ tutto. La ragazza ha atteso che l’aiutaste a togliersi il soprabito, poi che le aggiustaste la posizione della sedia, poi che vi occupaste di ordinare le pietanze ed il vino, ed infine si attende che pagherete il conto salatissimo del ristorante, mentre lei neppure accennera’ o fara’ finta di aprire la sua borsetta di Chanel. Si’ certo, non e’ previsto che paghi la sua parte, ma lei sa che, anche se non si tratta di un incontro mercenario, gli italiani in quanto a galanteria non hanno da imparare da nessuno: non farebbero mai tirar fuori i soldi ad una donna, soprattutto al primo appuntamento, e soprattutto con un viso ed un corpo come il suo…
Pare una situazione anacronistica da diciannovesimo secolo? No, semplicemente la ragione di tutto cio’ e’ il femminismo, o meglio la sua completa assenza.
Non ve lo attendevate, vero? A questo punto e’ giusto dirvi qualcosa in modo che possiate comprendere meglio: quest’evidente assenza di comportamento femminista non significa affatto che la donna seduta dall’altra parte del tavolo, che sta disinvoltamente mangiandosi la sua dozzina di Belon 00 fatte arrivare freschissime dalla Francia, sia in qualche modo debole o sottomessa. In realta’, niente potrebbe essere piu’ lontano dalla verita’. Le donne russe hanno in qualche modo raggiunto, senza l’angoscia e la rabbia delle occidentali, un senso di liberta’, indipendenza e felicita’ che le loro sorelle in Occidente hanno sacrificato molto tempo fa sul grande campo di battaglia dei sessi.
La Russia, geograficamente isolata da molti dei momenti storici piu’ significativi avvenuti in Europa – l’Illuminismo, il capitalismo, l’industrializzazione, per citarne alcuni – si era sviluppata con il proprio ritmo lento almeno fino agli inizi del secolo scorso. E’ stato cosi’ che le dolorose questioni relative al giusto posto delle donne nel sistema industriale dell’epoca e’ stato oggetto di dibattito in Occidente mentre le donne russe, completamente fuori da quella realta’, stavano pacificamente a raccogliere lamponi e a mungere le capre nell’idilliaca campagna.
Ciononostante, al di la’ di quest’apparente arretratezza, mentre le donne americane non hanno ricevuto il diritto di voto fino al 1920, e le italiane addirittura non hanno potuto votare fino al 1946, le donne russe gia’ erano ritenute equiparate agli uomini e potevano influire nella vita politica e nella gestione dello stato fin dal 1917. Per questo motivo il concetto stesso di “parita’” e di “diritti fra uomini e donne” in Russia ancor oggi non e’ ben compreso. E’ qualcosa che si da’ per scontato e non esiste alcun motivo di risentimento, di rabbia o di frustrazione generata da tale problematica in quanto, tale problematica, nell’ultimo secolo non c’e’ mai stata e quindi del femminismo non c’e’ mai stato veramente bisogno.
E’ cosi’ assente tutto quel conflitto che, nelle relazioni fra uomini e donne, fa nascere incomprensione, risentimento e prevaricazione di un genere nei confronti dell’altro. Ed e’ anche per tale motivo che persino la concezione di “liberta’ sessuale” e’ completamente diversa da quella occidentale. Questa cosa, fra l’altro, e’ facilmente individuabile. Ad esempio, se in occidente ogni azione un po’ troppo insistente da parte di un uomo nei confronti di una donna rischia di essere male interpretata, sovra-analizzata ed anche, in certi casi, considerata illegittima e perseguitata in un tribunale – un corteggiamento troppo incalzante oppure delle parole troppo esplicite possono essere considerate molestie sessuali –, in Russia esiste un diverso approccio nei confronti degli stessi atteggiamenti e delle terminologie che li riguardano.
Difficilmente, infatti, si assistera’ in pubblico ad effusioni o ad espressioni verbali troppo esplicite da parte di maschi che giocano sull’equivoco fra complimento, corteggiamento ed insulto. Cosi’ e’ difficile assistere ad episodi di “gallismo” rivolti alle donne tipici di alcuni popoli mediterranei. Cio’ e’ dovuto al fatto che il gallismo, il corteggiamento incalzante e gli insulti con riferimenti sessuali hanno origine innanzi tutto da un sentimento di superiorita’ da parte di un genere rispetto all’altro, e dato che, com’e’ stato detto, tale sentimento e’ sempre stato pressoche’ inesistente, l’uomo russo e’ portato di conseguenza ad avere un comportamento diverso rispetto ad un uomo occidentale.
Oltre a cio’, quantunque il sesso in Russia non sia visto come una cosa sporca o motivo di vergogna, anche fra partner in pubblico viene tenuto un comportamento molto “casto”, vengono evitate effusioni troppo disinvolte o frasi con termini troppo espliciti. Si ritiene, infatti, che i sentimenti, come tutto cio’ che afferisce la sfera sessuale, siano territori esclusivi nei quali nessuno debba metterci piede se non i diretti interessati. Mentre nel privato, invece, vengono a cadere tutti i tabu’, molto piu’ che altrove, ed e’ cosi’ che le donne russe hanno un diverso modo di approcciare il piacere e godono dell’intimita’ in modo assai piu’ libero, piu’ completo, soprattutto senza quella frustrazione cosi’ tipica della femmina occidentale di sentirsi considerata spesso solo come un oggetto per il piacere dell’uomo. E questo accade da molto prima che nascesse il primo movimento femminista di liberazione sessuale.
Vi e’ dunque in Russia un equilibrio tra i sessi che e’ immediatamente riconoscibile. Tutte le congetture inutili tra maschi e femmine sono state spazzate via, oppure non sono mai esistite. Si’, ovviamente c’e’ sempre l’eccezione, ma in generale tutto e’ abbastanza semplice. Quasi tutti capiscono il loro ruolo e questo rappresenta sicuramente una ventata d’aria fresca per ogni uomo che non riesce piu’ a trovare il filo della matassa dei problemi che ha nelle sue relazioni con il sesso opposto. E non sorprende che siano sempre di piu’ gli uomini che in occidente iniziano una relazione, oppure si rifanno una nuova vita, dopo esperienze non gratificanti con loro connazionali, con ragazze russe o comunque di provenienza da quell’est Europa ex sovietica che traeva gran parte dei suoi principi, valori e comportamenti proprio dalla Russia.
Perche’ e’ proprio in base a tali valori e principi, ed all’assenza totale di conflitto fra i generi, che quindi rende il femminismo qualcosa di mai concepito, che le donne russe riescono abilmente ad utilizzare ogni molecola della loro femminilita’ a loro esclusivo vantaggio – tacchi alti e minigonne inguinali incluse -, senza per questo sentirsi “oggetti” ad uso e consumo del maschio in quanto non si sentono affatto inferiori, e quindi neppure avvertono il bisogno di ottenere una qualche parita’ con l’altro sesso. Inoltre, e questo da’ davvero la sensazione e la consapevolezza della grande forza che possiede questo particolare tipo di femminilita’ tutto russo, nessuna mai, almeno chi e’ cresciuta ed e’ maturata durante gli anni del regime comunista, andrebbe mai a sfogarsi in pubblico, o in tv, o in internet a lamentarsi dei suoi problemi familiari, sentimentali o sessuali. In tutto cio’ che riguarda il privato esiste infatti, come ho gia’ detto, una dignita’ che altrove e’ del tutto inconcepibile.
I settant’anni di esperienza russa con il comunismo, non sono stati comunque una piacevole passeggiata e le donne russe hanno dovuto fronteggiare una sfida sociale totalmente diversa e forse assai piu’ dura rispetto alle loro controparti in occidente. Tuttavia, il sistema e’ stato in grado di fornire loro alcuni indiscussi ed interessanti vantaggi che hanno contribuito a far progredire la condizione femminile senza il bisogno di marce e proteste.
Il comunismo, infatti, aveva un sistema educativo fortemente sovvenzionato e non faceva alcuna distinzione tra i sessi quando si trattava di ricevere un’istruzione. Inoltre, tutto era basato sulla meritocrazia e nessuna importanza aveva il fatto di essere uomini o donne che, dopo gli studi, a parita’ di grado ricevevano identiche opportunita’. Le madri potevano contare completamente sul supporto dello stato e su centri di accoglienza per neonati e bambini, e questo dava loro le stesse possibilita’ di far carriera al pari dei padri. Forse qualcuno non lo sa, ma in qualche modo il comunismo e’ stato una vera manna per le donne, mentre e’ stato un busto di gesso per gli uomini.
Oggi, le donne russe sembrano sentirsi completamente a proprio agio con se stesse e, soprattutto, vivono completamente la loro femminilita’. Non nascondono il corpo come fosse un’orribile cicatrice, ma lo esibiscono, decorandolo con gusto, mettendolo in mostra per ogni occhio che abbia voglia vederlo. Nessuno in Russia avra’ mai da ridire di una donna che mette troppo in mostra le gambe: in Russia non c’e’ assolutamente nessun problema ad ostentare cio’ che si pensa sia bello e possa piacere.
Sono diventate quindi anche queste “nuove russe” oggetti di consumo per il desiderio degli uomini, uniformandosi alle loro consorelle occidentali? Forse si’, ma le donne russe hanno in qualche modo acquisito una straordinaria capacita’ di gestire l’essere attraenti senza pero’ scivolare dentro situazioni di subordinazione al genere maschile. Sono loro che hanno pieno controllo della propria femminilita’ e la minigonna ed i tacchi alti non fanno altro che aumentare quel loro incredibile potere che nessuno, finora, e’ stato in grado di spiegare. Quindi, se per caso pensaste che possano essere oppresse, controllate, succubi o sottomesse, sareste fuori strada.
Ed ora torniamo alla cena…
Международный Женский День
Tutto cio’ ha origine nel secolo scorso a San Pietroburgo, quando nel 1917, l’8 marzo appunto (era il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia), le donne guidarono una grande manifestazione di protesta per rivendicare la fine della guerra. Una manifestazione cui ne seguirono altre che portarono poi alle rivolte ed al crollo dello Zar. E’ per questo motivo che l’8 marzo e’ rimasto nella Storia: perche’ indica l’inizio della Rivoluzione di febbraio. Nel 1921 tale data fu fissata dal Partito come Giornata internazionale dell’operaia, ed in seguito fu citata da Lenin in un suo articolo come Giornata internazionale della donna, in quanto parte attiva importante nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo. E’ dunque cosi’ che e nato l’8 marzo e non, come afferma la versione occidentale frutto degli anni della guerra fredda, a causa della morte di centinaia di operaie in un rogo di una fabbrica a New York. Episodio che avvenne, certo, ma non l’8 marzo, bensi’ il 25 marzo del 1911.
Anche se oggi appartiene a tutti, l’8 marzo e’ principalmente una festa della Russia sovietica dedicata all’emancipazione della donna ed al riconoscimento di una sua pari dignita’ rispetto a quella dell’uomo. Ed e’ Anna Louise Strong, scrittrice e giornalista americana animata dagli stessi principi dei suoi connazionali John Reed e Edgar Snow che con bellissime parole, nel suo libro “L’era di Stalin”, ci offre uno spaccato di una realta’ che oggi, a molti potrebbe apparire persino utopistica, ma che rende chiara l’idea del perche’ sono da sempre convinta che una societa’ collettivista in cui non esistono differenze fra uomo e donna, tanto piu’ si addice alla condizione femminile, tanto piu’ sara’ osteggiata da chi, chiuso nel suo gretto egoismo e nell’ignoranza, ritiene che le donne debbano essere solo merce di scambio, uteri per procreare, oppure oggetti dedicati alla sola soddisfazione sessuale dell’uomo.
In tutte le parti dell’Unione Sovietica il mutamento della condizione della donna fu uno dei cambiamenti piu’ importanti della vita sociale. La rivoluzione diede alla donna l’eguaglianza legale e politica: a questa l’industrializzazione forni’ la base economica nell’eguaglianza del salario. Ma in ogni villaggio erano ancora vive le abitudini durate per secoli, e le donne dovettero lottare contro il loro potere. Di un villaggio siberiano, ad esempio, si seppe che, dopo che le fattorie collettive ebbero dato alle donne un salario indipendente, le spose “scioperarono” contro il venerando costume patriarcale di picchiare le mogli e lo spezzarono in una settimana.
“La prima donna eletta dal Soviet del nostro villaggio si prese gli scherni di tutti gli uomini – mi raccontava una presidente contadina. – Ma all’elezione successiva eleggemmo sei donne e adesso tocca a noi ridere”. In Siberia, nel 1928, incontrai venti di queste donne presidenti di Soviet sul treno per Mosca, dove andavano a partecipare a un congresso femminile: la maggior parte di esse viaggiava in treno per la prima volta, e una sola era gia’ stata fuori dalla Siberia nella vita. Erano state invitate a Mosca a “consigliare il Governo” sulle esigenze delle donne: i loro direttivi le avevano elette, e adesso andavano.
La lotta piu’ dura per la liberta’ della donna fu quella che si svolse nell’Asia centrale. Qui, le donne erano semplici oggetti di proprieta’: vendute giovanissime per il matrimonio, non apparivano piu’ in pubblico, da quel momento, senza l’orribile paranja, un lungo velo nero tessuto di crine di cavallo, che copriva tutto il volto ostacolando la vista e la respirazione. Per tradizione i mariti avevano il diritto di uccidere la moglie che si fosse tolta il velo e i mullah – i preti musulmani – sostenevano questa tradizione con l’aiuto della religione. Donne russe portarono un primo messaggio di liberta’ in queste tenebre: nei nidi d’infanzia le donne indigene impararono a togliersi il velo in presenza l’una dell’altra e a discutere i diritti delle donne e i mali del velo. Il partito comunista fece pressione sui suoi membri perche’ permettessero alle loro mogli di togliere il velo.
Quando visitai Tashkent per la prima volta, nel 1928, una Conferenza di donne comuniste annuncio’: “Nei villaggi arretrati delle campagne la nostre compagne vengono violentate, torturate e uccise. Ma questo sara’ un anno storico per i nostri paesi: l’anno in cui la faranno finita con l’orribile velo”. Questa risoluzione veniva lanciata proprio mentre alcuni eventi tragici ne sottolineavano la portata. Il corpo di una ragazza, studentessa a Tashkent, che aveva voluto dedicare le sue vacanze al lavoro di agitazione per i diritti delle donne nel suo villaggio natio, fu rimandato a pezzi alla scuola, su un vecchio carro recante la scritta: “Questo e’ per la vostra liberta’ delle donne”. Un’altra donna, che aveva rifiutato le attenzioni di un proprietario terriero e sposato un contadino comunista, fu assalita da una banda di diciotto uomini sobillati dal signorotto: la violentarono, mentre era all’ottavo mese di gravidanza, e gettarono il suo corpo nel fiume.
Vi furono poesie, scritte dalle donne, che esprimevano la loro battaglia. Per Zulfia Kahan, una combattente per la liberta’ delle donne che fu arsa viva da un mullah, le donne del suo villaggio composero un canto di dolore:
O donna, la tua lotta per la liberta’ non sara’
dimenticata in questo mondo.
Il tuo fuoco: non pensino che ti abbia consumata!
La fiamma in cui ti hanno arsa
e’ una fiaccola nelle nostre mani.Buchara, la “città santa”, era la citta’ di questa ortodossia d’oppressione. Qui, nella “città santa” fu organizzata una drammatica azione collettiva di getto del velo. Verso l’8 marzo, giornata internazionale della donna, corse voce che “qualcosa di spettacolare sarebbe accaduto”: in quel giorno, comizi di massa di donne furono tenuti in diversi luoghi della citta’ e le oratrici chiesero all’uditorio che “si levassero il velo tutte insieme”. Allora le donne passarono davanti al palco: giunte davanti al podio, gettarono il velo e poi, tutte insieme, andarono a sfilare per le strade. Erano state erette delle tribune per i dirigenti e i membri del Governo, che salutavano la sfilata. Alcune donne uscirono dalle loro case, si unirono alla sfilata e gettarono il velo davanti alle tribune. Cosi’ fu rotta la tradizione del velo nella citta’ santa di Buchara.
La Confessione
Avvenimenti distanti che ci riguardano solo marginalmente e che non ci creano dubbi su quello che e’ il nostro comportamento, e neppure riusciamo a concepire l’idea che tutto possa dipendere da qualcosa di sbagliato in cio’ che facciamo, da come viviamo. Anzi, quelle scene in fondo ci rassicurano, ci tranquillizzano, ci convincono che siamo fortunati, liberi… buoni.
Ci sono poi le piccole ingiustizie che riguardano un numero ristretto di persone. Sono quelle che ormai non fanno piu’ notizia ed alle quali ci siamo tristemente abituati. Ne parliamo poco, anzi, per quanto ci e’ possibile cerchiamo di non vederle, di negarle, perche’ intimamente sappiamo che, in parte, ne siamo un po’ responsabili anche noi.
“La Confessione”, il film del regista Constantin Costa-Gavras, ambientato nella Cecoslovacchia dei primi anni ‘50, narra la storia di Anton Ludvik che, arrestato ed imprigionato per motivi che non conosce, per mesi viene sottoposto ad ogni tipo di tortura, fisica e psicologica, perche’ confessi un reato che non ha commesso.
Angherie, vessazioni, prevaricazioni, crudelta’ gratuite contro chi non poteva difendersi erano assai frequenti nei regimi totalitari comunisti, ma non solo in quelli. Persino le democrazie occidentali da esportazione modello “Bush” hanno creato capolavori di straordinaria aberrazione come, ad esempio, il lager di Guantanamo dove persone innocenti ed estranee ai fatti legati all’11 Settembre sono state sottoposte per anni a torture psicofisiche terribili affinche’ confessassero cio’ che non avevano commesso, mentre la comunita’ internazionale, tutta, dava encomiabile dimostrazione di totale menefreghismo.
Riuscire ad ottenere la confessione e’, infatti, l’unica ragione per la quale esistono, da sempre, le varie tecniche di tortura. Il waterboarding, la deprivazione del sonno, le droghe e le minacce psicologiche o anche semplicemente i pugni, sono i mezzi dei quali gli aguzzini si servono non tanto per arrivare alla verita’ quanto per ottenere una confessione che indichi un colpevole che possa poi essere giustiziato sulla pubblica piazza, oggigiorno sempre piu’ mediatica.
Come Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora, anche Nick e Bart furono arrestati ed imprigionati per qualcosa che non avevano commesso. La loro unica colpa, come sempre, fu quella di essere innocenti quando il mondo imponeva che non lo fossero. Vittime del cinismo, dell’odio, del razzismo e degli interessi di bottega di chi aveva bisogno di mostri da sbattere in prima pagina, perseguitati perche’ diversi, perche’ immigrati, perche’ italiani, dopo sette anni passati in prigione furono condannati e giustiziati a morte. Era il 1927 e solo cinquanta anni piu’ tardi, riconosciuti innocenti, furono ufficialmente riabilitati.
Márió, a varázsló – Una favola d’amore e follia
L’imprenditore italiano arriva in paese ascoltando Celentano e Toto Cotugno a bordo di un’Alfa Romeo ed attira subito su di se’ l’attenzione della piccola comunita’, conquistando le simpatie di tutti, ma soprattutto delle donne, che vedono in lui la possibilita’ di un lavoro lontano dagli obblighi domestici, per le quali quell’impiego sicuro, che dopo una vita da contadine le fa sentire finalmente persone rispettate, anche se sottopagato e’ il miraggio dell’emancipazione a scapito dei loro mariti.
Veronika, sposata e con figli, carina e formosa, piena d’energia ed intelligente, all’inizio resta del tutto indifferente quando riceve le prime notizie dello stabilimento dall’esuberante Heléna, la sua amica chiacchierona. Lei e’ sempre stata diversa dalle sue compaesane. Sente di desiderare qualcosa in piu’ dalla vita, eppure non sa esattamente cosa. Un giorno pero’, tornando dalla passeggiata in riva al fiume, viene in qualche modo coinvolta e trascinata dall’incanto di una possibile nuova esistenza, ed entra a lavorare nel calzaturificio diventando la piu’ brava, la piu’ affidabile lavoratrice.
Il suo corpo rifiorisce, la sua anima si libera. Soprattutto quando a dirigere la fabbrica arriva il proprietario della catena di calzaturifici, Mario, aristocratico, elegante, misterioso, gentile e premuroso il quale si accorge presto della vena creativa di Veronika e la nomina responsabile del reparto.
Veronika inizia cosi’ a credere d’essere la sua preferita. Le altre operaie la invidiano, ma per la prima volta da quando e’ nata si sente apprezzata. Quella giacca rossa, simbolo del suo incarico, rappresenta la sua corona da reginetta di bellezza, la sua medaglia d’oro, il gradino piu’ alto del podio.
Nella sua vita, pero’, c’e’ sempre maggior discordanza tra suo marito, Gyula, che non le chiede altro che la cena pronta, che non nota i suoi vestiti nuovi ed il suo cambiamento, e Mario, che la gratifica, la apprezza, le parla, e si fida di lei al punto di affidarle persino le chiavi della sua casa perche’ curi le sue piante mentre lui e’ via. E Veronika, progressivamente, fatalmente, s’innamora pazzamente, in modo ossessivo, convinta di essere ricambiata…
Ma Mario non c’e’, e’ in viaggio. Non puo’ accorgersene. Non si accorge di come lei cura il suo studio, di come accudisce le sue piante, e neppure si accorge delle cene a lume di candela che Veronika organizza nella sua casa tra lei ed un immaginario Signor Mario che esiste solo nella sua mente. In breve l’amore diventa psicosi, follia che conduce giu’ nel baratro dell’alienazione mentale e Veronika arriva persino a salutare tutte le sue amiche, convinta che Mario tornera’ per portarla via con se’, in Italia, dove la trattera’ come una principessa e le fara’ vivere una straordinaria storia d’amore.
Ma quando Mario torna non e’ per coronare il sogno d’amore di Veronika. Ha deciso di trasferire la produzione in Ucraina dove i costi della mano d’opera sono minori. Cosi’, dopo un ultimo confronto con Mario al quale Veronika si reca, incurante delle chiacchiere del paese, indossando un vestito molto seducente, durante il quale viene maltrattata di fronte a tutti ed umiliata anche nella sua femminilita’, la fabbrica viene smantellata e con essa se ne vanno le speranze ed i sogni di una donna che, vedendosi privata di tutto, commettera’ un atto tremendo…
Mario il Mago (Márió, a varázsló) e’ un film che parla d’illusioni, d’evanescenza, di miraggi, le cui vittime sono innanzi tutto le donne di cui Veronika e’ il simbolo. Sedotta ed abbandonata due volte: la prima volta dalle speranze illusorie del capitalismo e la seconda volta dall’uomo che fino alla fine rappresentera’ quell’ideale al quale lei attribuira’ una sensibilita’ a lui estranea. Una figura che ai suoi occhi avrebbe dovuto emanciparla da una condizione familiare stagnante e monotona e che invece lei, morbosamente ed ossessivamente, investira’ di un significato destinato ad essere disatteso, e che finira’ per condizionarle la psiche in modo irreversibile.
Il regista ungherese Almási Tamás, puntando tutto sul personaggio di Veronika pone al centro della storia l’interiorita’ di una donna ed affonda i denti nei suoi sentimenti, nei suoi sogni, nelle sue paure e ci racconta il suo dramma, il cambiamento del suo carattere, la sua follia e la straordinaria passione del suo amore.
Un film tutto al femminile, dunque, dove sono le donne le vere protagoniste di questa favola agrodolce poiche’ ne svela l’animo e i desideri piu’ nascosti, le cui chiavi di lettura possono essere molteplici ma che devono essere interpretate tenendo conto del momento storico e del retroterra in cui si svolge. Una storia nella quale ho ritrovato molte di quelle atmosfere che anch’io ho vissuto.
Come femminile e’ la costruzione stessa della sceneggiatura che segue un ritmo ascendente: inizia molto lentamente e ci mette del tempo prima di catturare pienamente l’attenzione, raggiungendo l’apice negli ultimi minuti del film dove la musica e la regia, che diventano dinamiche e frammentate, e l’eccezionale prova della protagonista si accumulano e si fondono, per emozionare e travolgere gli spettatori nella psicosi di questa donna.
Interpretato da una Nyakó Júlia splendida, la cui sensibilita’ riesce ad entrare sotto la pelle, il film, che andrebbe visto in lingua originale sottotitolato poiche’ l’unica carenza evidente e’ nel modo in cui e’ stato doppiato, e’ una storia vera che prende in prestito il titolo da una novella di Thomas Mann e l’ispirazione da un racconto di Halász Margit, ed e’ stato girato ad Abaújvár, un piccolo paese di appena trecento abitanti situato nei pressi del confine con la Slovacchia, non lontano dalla mia Tokaj.
Ricordo degli esami
Ma la cosa piu’ bella che ricordo e’ che non esistevano differenze fra sessi, fra etnie, oppure fra diversi livelli sociali; figli di burocrati slavi potevano benissimo studiare fianco a fianco con figlie di contadini zingari. Cio’ non creava alcun problema. Il Sistema non consentiva a nessuno di sentirsi forte di alcuna “superiorita’” che non fosse meramente inerente alle capacita’ personali. Quindi niente privilegi per “discendenza”. Anzi, era proprio chi aveva provenienze “eccellenti”, chi aveva un genitore importante, che era in qualche modo piu’ sottoposto a stress, poiche’ doveva, piu’ di chiunque altro, dimostrare di essere all’altezza del nome che portava, altrimenti veniva dileggiato dai compagni, ma prima di tutto dalla sua famiglia.
Ricordo anche che c’era un esame il cui superamento era indispensabile, altrimenti si veniva considerati “poco intelligenti” e non adatti a proseguire. L’esame era “la storia del Partito”. Una domanda del tipo “quale partito?” sarebbe stata considerata motivo di bocciatura, oltre che di stupidita’, e di quale Partito si trattasse e’ facile intuirlo.
In effetti, adesso ricordo, una piccola discriminazione veniva fatta anche in quel Sistema. Coloro che potevano contare su genitori che facevano parte della “nomenklatura”, in quello specifico esame erano favoriti: in caso di esito negativo, bastava una telefonata di papa’ al preside della scuola per dar modo al figlio di poterlo ripetere. Tale procedura avveniva pero’ ufficiosamente ed in modo riservato. Niente di questo piccolo “favoritismo” doveva trapelare, e se lo studente si fosse rivelato una seconda volta impreparato, a quel punto nessuno avrebbe potuto evitargli l’esclusione dagli studi. Fosse stato anche il figlio del Presidente del Partito.
Per avere un’idea di come la reputazione fosse importante per certi uomini, basta ricordare il fatto che, alla fine degli anni ’70, primi ’80 in Russia, coinvolse il ministro degli interni Yuri Churbanov, genero di Brezhnev, terzo marito della figlia Galina. Allorquando si sparse la voce di tangenti che aveva ricevuto, fu immediatamente estromesso dall’incarico, ed una volta appurata la sua colpevolezza fu condannato a 12 anni di carcere duro (di cui 6 amnistiati).
Essi’, erano proprio strani i burocrati di allora che non conoscevano l’utilizzo di certi “lodi ad personam”. Tenevano sia alla loro reputazione che a quella dei loro familiari e mai avrebbero “spiattellato” sui giornali di avere un figlio non all’altezza di superare un esame. Ancor meno avrebbero portato il caso di fronte al Ministro dell’Istruzione.
Ma si sa… quelli erano comunisti.
«Non è possibile che un ragazzo possa essere massacrato agli esami soltanto perché ha portato una tesina su Carlo Cattaneo» (Umberto Bossi)